Eurovision 2026, Vienna prova a non esplodere: Weißmann punta tutto sulla diplomazia

A Vienna doveva essere l’edizione celebrativa perfetta, quella dei 70 anni dell’Eurovision, dei violini che vibrano come nei cliché turistici e dei comunicati pieni di ottimismo. Invece Roland Weißmann, direttore generale dell’ORF, si ritrova a fare da pompiere, ambasciatore, psicologo dei delegati europei e garante di un concorso che quest’anno ha la stabilità di un soufflé mal riuscito.
La linea di Weißmann non cambia di un millimetro: Israele deve partecipare, punto. Nessun giro di parole. “È la più grande macchina di intrattenimento al mondo, non un dibattito politico”, ripete come se fosse un algoritmo programmato per la calma eterna. Peccato che Spagna e Irlanda minaccino di sfilarsi. E peccato pure che l’EBU, quella che ufficialmente organizza tutto, stia visibilmente cercando di evitare un’altra crisi internazionale in mondovisione.
Weißmann insiste su una cosa: è «il momento della diplomazia». Traduzione: si parla, si contratta, si promette, si annusa l’aria. Le nuove regole che la EBU voterà a inizio dicembre dovrebbero convincere i più scettici, anche se il direttore evita accuratamente di dire quali siano. Effetto suspense garantito.
Nel frattempo, Vienna vuole fare la voce grossa: “Sarà l’edizione con più Paesi di sempre”, proclama Weißmann con un entusiasmo quasi commovente. Bulgaria, Romania e Moldavia vogliono tornare, mentre sul fronte extraeuropeo arriva l’esclamazione che nessuno si aspettava: “Hurra, hurra – Canada!”. A momenti mancava solo un coro di cowboys tirolesi.
Sul piano pratico, l’ORF sgancia un altro numero impressionante: 90.000 biglietti in vendita, con registrazione dal 24 novembre sui siti dell’ORF e della EBU. Tutto “trasparente”, promettono. Per presentatori, scenografia e dettagli artistici toccherà attendere: Vienna vuole superare Basilea 2025 e — giudicando dal tono — sembra convinta di poterlo fare.
Capitolo postcards: l’ORF torna al “back to the roots”. Artisti ripresi nei loro Paesi, trascinati magicamente in scenari austriaci. Vintage quanto basta per far sciogliere anche il pubblico più cinico, e ovviamente venduti come cartoline fisiche da collezione. Roba da fan che conserveranno come reliquie.
Poi c’è la macchina infernale dell’organizzazione. Servono 800 volontari, poliglotti e sorridenti. Servono ballerini, cantanti, stand-in da palcoscenico, gente che sappia reggere prove interminabili senza lanciarsi nel Danubio dalla stanchezza. I casting partono a dicembre. E nel frattempo, all’ORF Media Campus, il primo round di audizioni per “Vienna Calling” — la selezione nazionale — è già iniziato per scegliere i 12 finalisti di febbraio.
Alla fine, l’obiettivo dell’ORF è limpido: portare a casa l’edizione più grande della storia, evitando che il dibattito politico divori l’evento e convincendo tutti che Vienna può tenere insieme un Eurovision che, quest’anno, sembra scritto da un autore di dramedie. Weißmann ci crede. E con quella convinzione ostinata, riesce quasi a convincere anche noi.
Fonte: Kurier